ANCORA CON LA RESILIENZA? Ma in pratica il Resiliente CHI è? Quando ha valore in azienda? Articolo del Prof. Stefano Gentili Psicologo del Lavoro

Il giovedì con Master and Skills

 

Non viviamo certo giorni tranquilli. Questo lo diceva già mio padre molti anni fa a testimonianza del fatto che la tranquillità sta nelle righe del poeta ma non nell’animo dell’uomo.

Se ci pensiamo però forse è proprio la mancanza intermittente di questo stato d’animo che ci ha reso quello che siamo. E si, perchè   proprio  le turbolenze che viviamo sono quelle che ci spingono a cercare soluzioni e a innescare processi di cambiamento. La vita non è una linea retta.

Se soccombiamo, il giorno e la notte esisterà lo stesso, ma il mondo forse non andrà avanti, poiché non avremo trovato soluzioni al problema; se resistiamo e troviamo nuovi modi di fare le cose, magari mettiamo in moto un processo evolutivo. L’uomo accompagna spesso questi momenti storici di cambiamento, con la creazione di termini linguistici  che, oltre a servire per identificare dei nuovi comportamenti, spiegano  anche gli stati d’animo che li accompagnano.

Se diciamo che stiamo vivendo epoche  piene di gioia, di mancanza di felicità o noiose, credo che tutti comprendano di quale condizione stiamo parlando. Tutti abbiamo provato almeno una volta uno di questi stati d’animo. Se qualcuno ci parla di resilienza, non credo invece che a tutti sia chiaro quale sia lo stato nel quale la persona si trova o si percepisca. Questo perché alcuni termini hanno significati più ampi, che non coinvolgono solo il modo di sentirsi, ma anche uno  stato mentale e in alcuni casi un tipo specifico di comportamento associato.  Questo è il caso del termine resilienza, tanto in voga oggi, la cui spiegazione volgare non fornisce comunque in pieno la comprensione di cosa sia. E’ qualcosa che nasce quando l’individuo percepisce una minaccia? Si osserva quando l’individuo è in una condizione di tensione? E’ un modo di essere?  E’ legata alla fisicità o risente dell’ambiente nel quale siamo vissuti?

Perché oggi questo termine va di moda, perché tutti cercano di essere o mostrarsi resilienti?

Quando un oggetto si riprende dopo una deformazione e ritorna ad uno stato originale, è resiliente . Quando abbiamo avuto la forza di resistere ad un trauma e abbiamo fatto di questo una opportunità, siamo resilienti. Oggi forse di questa resilienza ne abbiamo più bisogno, poiché la vita si allunga e le vicissitudini sono quantitativamente e qualitativamente superiori e più complesse. Di congiunture negative in effetti ce ne sono. In realtà però i nostri genitori ne hanno vissute molte di più e attrezzati alla vita, di resilienza ne hanno avuta da vendere.

Da dove nasce e come si crea? Vediamo di trovare una risposta vicino all’esauriente.

E’ certamente vero che la biologia personale, l’ambiente e il modo in cui la nostra mente ci propone il mondo, concorrono tutti a farci essere ciò che siamo.

E’ altrettanto vero però che non possiamo sceglierci la costituzione biologica ne l’ambiente in cui nascere. Questo fa pensare ad un futuro determinato, a modelli di risposta definiti e fuori dalla sfera della nostra influenza. E’ altrettanto vero che noi possiamo modellare la nostra mente nel gestire e affrontare i fatti della vita e pertanto rispondere agli eventi in modo diverso da quello che ci si aspetterebbe.  Ma se è vero che la nostra mente è il prodotto delle esperienze che abbiamo consumato o che  ci sono state proposte, pare che anche qui ci possano essere  delle difficoltà nel virare su altri cammini. Viviamo comunque una condizione.

Ora quante volte, di fronte a situazioni critiche, ci siamo sentiti dire di resistere, di farci forza, richiamando alla mente una  capacità che sembra molto vicina ad una abilità muscolare: contrastare un evento, opporre resistenza ad una forza avversa, mobilitare energie per non essere sommersi dagli eventi. Rispetto a questo, la biologia potrebbe entrare in gioco: se siamo attrezzati fisicamente riusciremo ad essere maggiormente oppositivi. Tutto ciò vorrebbe dire che più l’evento è “avverso” più ci sarà bisogno di strutture biologiche sane. Ma l’evento fisico non è mai solo poiché si accompagna sempre a quello psichico ovvero a come la nostra mente lo legge. D’altronde se mi vedo debole e curvo sarà o no diverso se il modo di percepirmi sarà quello di  forte e dritto?

La nostra percezione dell’ambiente, incide sui nostri meccanismi cellulari, imprime spinte.

E la mente? Questa  attività del cervello, impegnata nei processi intellettivi, fonte inesauribile di idee, di pensieri, di stati di coscienza, di formulazione di obiettivi e di modi di vedere e affrontare la vita, come ci aiuta? Forse è veramente l’unica sulla quale sembra si possa avere il vero potere nel corso della nostra vita. Non sono gli eventi in se che decidono come ti sentirai ma il modo in cui li percepisci e in cui ti percepisci. Ecco allora che il termine resilienza si lega ad uno stato mentale , a quel modo di affrontare la vita con vigore e con forza anche se si è vittima di situazioni avverse. Non è resistere opponendosi, ma trasformare il negativo in un momento di esperienza, ricaricandosi. Non vuol dire che con il potere della mente stravolgiamo il mondo, Non vuol dire che tutto sia possibile. Vuol significare  però che le cose sono come sono, ma noi possiamo cambiare il modo di viverle. E non è poco.

Qualcuno ha detto che sarebbe importante incontrare  buoni maestri nel nostro cammino, insegnanti ed educatori che ci aiutino a rinforzare l’autoefficacia. Credo che più che incontrare un buon maestro, ci si  debba sentire allievo. Ecco allora che un fatto qualsiasi della vita può farci da maestro, da educatore. Impariamo a capire come fare o meglio a come essere. Certo che qualche attributo si deve possedere!