La figura dell’Export Manager in Italia è in crisi? Il parere dell’esperto: ETTORE MINORE CEO di INTER TRADE ITALIA
Il giovedì con Master and Skills
1. Dott. Minore, prima di dare delle risposte alle domande potrebbe inquadrarci il contesto import-export in Italia e i mercati della Inter Trade Italia?
Indubbiamente ci muoviamo in un contesto dinamico che registra una crescita continua nel settore dell’Export. Secondo lo scenario sviluppato dalla Oxford Economics, la crescita dell’Export italiano non si arresterà per i prossimi anni. Le vendite delle merci italiane all’estero sono aumentate di quasi il 6% nel 2018 e aumenteranno in media del 4,5% annuo nel triennio 2019-2021 con alla fine il superamento dei 540 miliardi di euro di fatturato. L’Export dei servizi avanzerà di circa il 4% annuo con una previsione di fatturato superiore ai 90 miliardi di euro.
I paesi trainanti sono quelli Asiatici, oltre alla Cina e all’India, particolare attenzione va data ai Paesi dell’ASEAN come Indonesia, Vietnam, Malaysia, Filippine e Thailandia. Questi paesi sono in una fase di sviluppo che vede il proprio PIL crescere a ritmi veloci, in media del 5% nel triennio 2019-2021, questo creerà nuove occasioni di business e di conseguenza nuove opportunità di lavoro.
La Inter Trade Italia Srl, con la sua società partner I.T.M. Ltd di Hong Kong e la Yi Hua (Tianjin) Food Trading Co., Ltd di Tianjin (R.P.C), ha come mission, ormai da più di 15 anni, quella di accompagnare le PMI Italiane ed Europee attraverso il tortuoso percorso del commercio internazionale, ponendosi come ponte tra l’Europa e l’Oriente, con particolare riferimento alla Cina, al Giappone, Hong Kong e tutto il Sud Est Asiatico.
2. Ci può spiegare perché nel 2018 gran parte delle aziende italiane non ha ancora una divisione Export strutturata?
I motivi principali sono due, uno storico e uno culturale.
Iniziamo da quello storico. La maggior parte delle imprese italiane, mi riferisco non solo alle PMI ma anche a grandi aziende, hanno una proprietà ed una gestione familiare. Queste imprese tendono ad assegnare incarichi all’interno del nucleo familiare e non sempre il membro della famiglia ha le competenze e le conoscenze necessarie per sviluppare un settore delicato come quello dell’Export. Il manager esterno viene visto come un estraneo, che offusca la proprietà e di conseguenza il ruolo decisionale della proprietà stessa. Naturalmente non è così, un manager esperto di mercati internazionali porta valore aggiunto facendo superare all’impresa quelle barriere culturali e linguistiche che ad oggi rappresentano un freno per molte delle nostre aziende italiane.
Il secondo motivo è culturale e può essere indirettamente figlio del primo. Le imprese italiane considerano il manager o il consulente un costo e non un investimento, come avviene in paesi come Francia, Germania e UK per rimanere in Europa. Essendo considerato un costo, paradossalmente, sono le prime figure che le aziende tagliano durante una crisi, insieme al marketing e agli HR, mentre invece dovrebbe accadere il contrario.
Attualmente le aziende stanno puntando sulla tecnologica. Questo sviluppo, per non renderlo vano, va supportato da figure competenti, dobbiamo cambiare culturalmente il nostro modo di fare impresa per essere al passo con il mondo globale.
3. Le Istituzioni supportano il Made in Italy in modo efficace?
A mio modesto avviso le Istituzioni non garantiscono un forte supporto all’Export del Made in Italy, delle PMI. Questo è conseguenza dei tagli al budget che i due enti principali, ITA (ex ICE) e le Ambasciate, hanno avuto nel corso degli ultimi anni e aggiungo per una programmazione superficiale ed errata che ha lasciato sole molte PMI ad affrontare mercati difficili come quello asiatico. A mio parere, frutto dell’esperienza di questi 20 anni all’estero, in particolare in Asia, sarebbe opportuno che il budget sia destinato solo ad un ente, ad esempio gli uffici commerciali delle ambasciate, che hanno un ruolo super partes ed essendo l’ufficio di rappresentanza del governo, può risolvere problematiche che altri enti non possono risolvere. In tal senso va ad esempio il caso del fallimento di Piazza Italia a Pechino.
4. La competenza linguistica è alla base di una carriera in import-export, ma quali altre skill devono avere i giovani per diventare un export manager e su quali Paesi-mercati lei consiglia di specializzarsi. E le fiere all’estero, sono un buon driver per un giovane che vuole sviluppare questa carriera?
Per una carriera come manager import-export o in aziende internazionali non è più sufficiente solo la lingua inglese, comunque fondamentale, è necessaria una seconda lingua possibilmente il cinese, russo o giapponese.
La figura dell’export manager può essere considerata una figura altamente professionale con una complessità molto elevata, bisogna avere un’ottima cultura generale per comprendere e rispettare le culture degli altri Paesi. Questo permetterà di non avere pregiudizi o remore verso i manager o gli imprenditori che si incontrano in giro per il mondo. Deve avere una conoscenza approfondita dei mercati, delle normative che regolano il commercio internazionale, il sistema logistico e dei trasporti, le dogane. Per un giovane le fiere sono un buon inizio, permettono di conoscere nuovi mercati, avere i primi rapporti con le agenzie doganali, con gli spedizionieri internazionali. Utili sono soprattutto i master che in tal senso preparano i giovani ad una carriera entusiasmante e ricca di soddisfazioni. Nello sviluppare i mercati internazionali c’è l’essenza del commercio, del lavoro di squadra, della creatività, dello sviluppo delle relazioni umane con popoli di cultura diversa. Spesso i ragazzi amano l’aspetto itinerante di questo settore, ed è comprensibile che per un giovane il viaggio sia la prima motivazione, ma vi lascio con una riflessione proprio sul caso Dolce e Gabbana. Se ci fosse stata maggiore conoscenza della cultura orientale da parte degli stilisti e del board e non attenzione solo allo sviluppo del fatturato da export, l’Italia non avrebbe fatto la pessima figura internazionale che ha fatto. Spero per i nostri giovani in un futuro con manager più consapevoli di cosa vuol dire mercato globale, appassionati di storia delle varie culture, avremo delle relazioni politiche internazionali più forti che avranno come conseguenza relazioni commerciali più solide e meno fluttuanti.